Tabernacolo eucaristico
Andrea della Robbia
Terracotta invetriata, 1512 circa
Andrea della Robbia (Firenze 1435 – Firenze 1525) è stato scultore e ceramista. Cominciò molto presto a lavorare nella bottega dello zio paterno Luca dove apprese le segrete tecniche della terracotta invetriata. Da Luca erediterà la florida bottega di famiglia situata in via Guelfa. La tecnica della terracotta invetriata è molto antica ma rinasce e ritorna in auge, come vera e propria forma d’arte, soprattutto grazie ai Della Robbia che realizzarono opere lucide, compatte, resistenti, inattaccabili dagli agenti atmosferici e facilmente trasportabili, grazie all’uso di una vernice, composta da piombo e silicio, colorata con l’uso di terre naturali e applicata sulla superficie dell’opera. Giorgio Vasari ricorda così la geniale scoperta della formula artistica adottata da Luca:
“Per che, considerando che la terra si lavorava agevolmente e con poca fatica, e che mancava solo trovare un modo mediante il quale l’opere che di quella si faceva si potessono lungo tempo conservare, andò tanto ghiribizzando che trovò modo da diffenderle dall’ingiurie del tempo: perché dopo avere molte cose esperimentato, trovò che il dar loro una coperta d’invetriato adosso, fatto con stagno, terra ghetta, antimonio et altri minerali e misture cotte al fuoco d’una fornace aposta, faceva benissimo questo effetto e faceva l’opere di terra quasi eterne.”
Del 28 aprile 1512 è un pagamento ad Andrea per un grande tabernacolo con angeli reggicortina commissionato da Giovanni di Piero Acciaiuoli. È probabile che abbia collaborato nell’opera anche il figlio Giovanni. Il tabernacolo poggia su una predella con due angeli che sostengono una ghirlanda di foglie in cui è il calice con l’ostia e con l’iscrizione “HIC EST PANIS QUI DE COELO DESCENDIT”. L’edicola è formata da lesene corinzie che sorreggono la trabeazione all’interno della quale quattro colonne in prospettiva e una volta a botte con rosette racchiudono lo sportello del ciborio che raffigura Cristo che risorge dal sepolcro; lo spazio circolare aperto sopra potrebbe contenere la terza pietra del S. Sepolcro, collocata in luogo privilegiato. Nella lunetta è la colomba dello Spirito Santo. Nella parte superiore del ciborio è rappresentato a bassorilievo il Padre benedicente. ll bianco dello smalto, in contrasto con il colore blu del fondo, riflettendo la luce, riesce a mettere in risalto la plasticità di ogni dettaglio. Lo smalto bianco che si carica di luce e di candore assume pure un importante valore teologico. Le figure dei Della Robbia sono realisticamente umane e sono prova di una profonda religiosità che animò sempre questa famiglia di artisti fiorentini che strinsero durante tutta la loro vita un intenso legame con l’ordine francescano e quello domenicano.
Così gli autori sono riusciti a dare vero risalto al mistero eucaristico, centro del culto cristiano. Il bellissimo tabernacolo invita quindi al silenzio e all’adorazione del mistero racchiuso e manifestato con la bellezza dell’arte, il mistero dell’amore di Dio che si fa prossimo alle necessità dell’uomo e che, come pane vivo disceso dal cielo, gli offre l’alimento per il cammino e, come presenza reale contenuta sotto le specie eucaristiche, lo sostiene per condurlo alla meta della vita eterna.
Bibliografia
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Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 37
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“La terracotta invetriata. Alchimia e magia di una tecnica a lungo sconosciuta” N. 21 - Settembre 2009 (LII). Instoria
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La Chiesa dei Santi Apostoli – “Lo Studiolo” Amici dei Musei Fiorentini, 2004
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www.toscanaoggi.it/Arte-Mostre/I-Della-Robbia-e-la-ricetta-della-terracotta-invetriata
Pietre del Santo Sepolcro
e portafuoco del Sabato Santo
Tutti conoscono la storia di Pazzo di Ranieri Pazzi, di come si distinse nel campo di battaglia della prima crociata iniziata nel 1080 e di come, arrampicandosi per primo sulle mura di Gerusalemme, si fece valere nel campo di battaglia. Goffredo di Buglione volle ricompensare il suo impavido coraggio donandogli tre schegge della pietra del Santo Sepolcro di Cristo. Pazzino, così soprannominato in città, quando tornò a Firenze nel 1096 portò le sante reliquie che hanno un valore rituale inestimabile per il credente fiorentino: con queste pietre focaie si accende il cero pasquale del Duomo di Firenze, nella celebrazione liturgica più solenne dell’anno. In tale cerimonia intervengono ancora oggi i cavalieri del Santo Sepolcro.
La famiglia Pazzi apparteneva alla Parte Guelfa e le pietre furono ubicate nella chiesa di riferimento del rione, la Chiesa di Santa Maria sopra Porta, detta anche di San Biagio. Nel 1785 fu soppressa e fu annessa al priorato della chiesa di SS. Apostoli che diventò Chiesa di SS. Apostoli e Biagio. In fonti dell’epoca si legge di come fosse motivo di vanto per la famiglia Pazzi, e poi per la Parte Guelfa tutta, il dover provvedere ogni anno alla spesa per il cero “el quale si porta honorevolmente con chompagnia di molti preti e con le trombe”. Il cero è stato poi sostituito dal portafuoco, opera devozionale di pregiata fattura. Attualmente nel Sabato Santo il corteo storico della città viene a prelevare solennemente le pietre ed il Porta fuoco per l’accensione in Duomo del fuoco sacro e, con esso, del cero pasquale, simbolo della risurrezione di Cristo.
Il Porta fuoco fu realizzato su commissione della Parte Guelfa quando i Pazzi persero il privilegio di occuparsi del cero pasquale, dopo la “congiura de’ Pazzi” contro la famiglia Medici nella quale perse la vita Giuliano de’ Medici, fratello di Lorenzo, che regnava su Firenze come un sovrano e, per questo, inviso dalle famiglie di antica nobiltà fiorentina. Il 26 aprile 1478 segnò la fine dei privilegi della famiglia Pazzi dato che Lorenzo si salvò e si vendicò degli assassini di suo fratello. Fu deciso dalla Repubblica che, il privilegio dell’accensione del cero pasquale, passasse ai Consoli di Calimala e il cero fu sostituito con il Porta fuoco che venne commissionato alla bottega di Pasquino da Montepulciano.
Esso è un oggetto unico nel suo genere ed è composto da tre parti diverse che una volta assemblate hanno dato vita ad un “ostensorio” sacro e unico nel suo genere. La parte più antica è rappresentata dalla colomba d’argento ad ali spiegate nella sommità, di cui si ha notizia nell’inventario delle masserizie del 1378 della Chiesa di Santa Maria sopra Porta. La parte centrale è quella che fu commissionata dalla Parte Guelfa alla cerchia di Pasquino da Montepulciano facendo realizzare lo stemma della stessa (un’aquila che tiene tra gli artigli un drago) racchiuso in volute che dai nodi centrali terminano in due rosette rinascimentali. La terza parte, quella veramente funzionale, il porta braciere, è stato realizzato in rame dorato a forma di nodo baccellato. All’interno c’è il braciere con carboni che servono per mantenere il fuoco che accende la “colombina” durante la cerimonia dello “Scoppio del carro” che avviene la domenica mattina di Pasqua sul sagrato del Duomo.
Queste reliquie del Santo Sepolcro di Gerusalemme sono un vero tesoro per la Chiesa fiorentina e, custodite in quest’antica e suggestiva Chiesa dei Santi Apostoli, ci aiutano ad avvicinarci al sepolcro dove venne deposto il corpo di Gesù Cristo, a ricordare l’amore con cui Lui ha offerto la sua vita per noi e ad accendere la speranza sicura della risurrezione nei nostri cuori.
Immacolata Concezione
Olio su tavola centinata, 1540-1541
Giorgio Vasari (Arezzo 1551 - Firenze 1574)
La formazione e la brillante carriera di Giorgio Vasari (Arezzo 1511 – Firenze 1574), pittore, architetto e storico aretino, sono conosciute grazie all’autobiografia posta alla fine della sua opera “Vite de’ più eccellenti architetti, pittori e scultori italiani da Cimabue insino a’ tempi nostri” e alla corrispondenza con alcuni dei personaggi più noti del suo tempo.
L’Immacolata Concezione, ripresa più volte dal Vasari stesso e largamente copiata in seguito, è senza dubbio il dipinto religioso più noto dell’artista. Bindo Altoviti, banchiere e imprenditore fiorentino, commissionò al Vasari il dipinto per l’altare di famiglia alla Chiesa dei Santi Apostoli di Firenze. Fu la sua prima importante committenza fiorentina. Il Vasari stesso ci fornisce la chiave interpretativa dell’iconografia da lui adottata per la realizzazione di un’altra opera sullo stesso tema, “l’Allegoria dell’Immacolata Concezione” conservata agli Uffizi, per la quale si avvalse del parere di amici e letterati data la difficoltà nel rappresentare un tema inedito ed insolito.
“D’ottobre dunque, l’anno 1540, cominciai la tavola di messer Bindo, per farvi una storia che dimostrasse la Concezione di Nostra Donna, secondo che era il titolo della cappella. La qual cosa, perché a me era assai malagevole, avutone messer Bindo ed io il parere di molti comuni amici, uomini litterati, la feci finalmente in questa maniera. Figurato l’albero del peccato originale nel mezzo della tavola, alle radici di esso, come primi trasgressori del comandamento di Dio, feci ignudi e legati Adamo et Eva; e dopo agl’altri rami feci legati di mano in mano Abram, Isac, Iacob, Moisè, Aron, Iosuè, Davit, e gl’altri Re successivamente, secondo i tempi: tutti, dico, legati per ambedue le braccia, eccetto Samuele e S. Giovanni Batista, i quali sono legati per un solo braccio, per esser nati santificati nel ventre. Al tronco dell’albero feci avvolto con la coda l’Antico Serpente, il quale avendo dal mezzo in su in forma umana, ha le mani legate di dietro: sopra il capo gli ha un piede, calcandogli le corna, la gloriosa Vergine, che l’altro tiene sopra una luna, essendo vestita di sole e coronata di 12 stelle; la qual Vergine, dico, è sostenuta in aria dentro a uno splendore da molti Angeletti nudi, illuminati dai raggi che vengono da lei: i quali raggi parimente, passando fra le foglie dell’albero, rendono lume ai legati e pare che vadano loro sciogliendo i rami con la virtù e grazia che hanno da colei donde procedono. In cielo poi, cioè nel più alto della tavola, sono due putti che tengono in mano alcune carte, nelle quali sono scritte queste parole: QUOS EVAE CULPA DAMNAVIT MARIAE GRATIA SOLVIT.”
Tale iscrizione spiega il significato del dipinto: “COLORO CHE LA COLPA DI EVA CONDANNO’ LA GRAZIA DI MARIA ASSOLSE”. Maria è la nuova Eva, preservata dalla macchia originale in vista della speciale missione di Madre del Dio fatto uomo. Così come da una donna derivò il peccato, da una Donna derivò la salvezza agli umani; come Eva fu madre di tutti i viventi, così Maria è stata costituita Madre di tutti i credenti.
Bibliografia
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Iconografia Mariana a cura di P. Gianni Colosio in “MARIA, Mensile sulle opere e sulle missioni dei Padri Maristi Italiani. N.11-12 Novembre-Dicembre 2005
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Vite, Edizione Grandi Tascabili Economici Newton, Roma 1991, pp.1365s.
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La Chiesa dei Santi Apostoli – “Lo Studiolo” Amici dei Musei Fiorentini, 2004